Le pagine viste sono morte. Nuovi criteri per valutare il successo di un sito web. Dalla quantità alla qualità dei testi.

Ci permettiamo una citazione di Hegel (il filosofo), promettendo che non lo scomoderemo più per questioni rozze come il web copywriting. In un passo della “Scienza della Logica” Hegel ha scritto: “Se mi tolgo un capello, sono un uomo con i capelli; se ne tolgo due, sono ancora uno con i capelli; se li tolgo tutti, sono un uomo calvo”. È un modo semplice per dire che, molto spesso, le variazioni nella quantità di un elemento si trasformano in variazioni di qualità. Cosa c’entra questo con il copywriting e i contenuti per il web? C’entra, ma vediamo come.

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L’evidente disappunto di Hegel per essere stato citato in questo articolo.

Loro sono in tanti a scrivere, tu da solo a leggere

Ogni giorno si pubblicano sul web 2 milioni di articoli, girano 3 miliardi di e-mail, viene caricato 1 milione di ore di nuovi video. Per non parlare di quello che ci scorre davanti agli occhi sulla nostra bacheca Facebook o ci arriva come messaggi. Gran parte di questa roba è di privati, pubblicata per i parenti e gli amici, in cui la qualità non è la preoccupazione principale. È il web dell’intrattenimento, della socialità, quello divertente insomma.

Una piccola, ma importante parte di queste pubblicazioni, però, è materiale aziendale. Sono contenuti, cioè, che hanno velleità di marketing: vogliono raggiungere un pubblico per degli obiettivi economici. Far conoscere un’azienda, vendere un prodotto o servizio, creare una relazione con clienti e potenziali clienti e così via.

Il problema è che gran parte di questo materiale potrebbe restare anonimo, non superare mai il più grande ostacolo che si trova davanti chiunque oggi voglia comunicare efficacemente sul web: la soglia di attenzione degli utenti.

L’economia dell’attenzione

Forse non ci avete mai pensato ma la moneta  intorno alla quale gira l’economia del web è l’attenzione. Una moneta che non si può stampare, né chiedere in prestito, né scambiare, né dividere. Se io sono attento sul testo di un sito web X, non posso esserlo contemporaneamente per il sito Y. Se leggo un’e-mail, non posso guardare la bacheca di Facebook. Devo interrompere e passare da una cosa all’altra.

In mezzo a questo infinito di contenuti, come fa un utente del web a selezionare quali sono le informazioni davvero utili? Vista dall’altro lato, come fa un’azienda a farsi spazio e guadagnarsi un po’ dell’attenzione degli utenti? Questa tematica della scarsità di attenzione è talmente importante, anche dal punto di vista economico, che si sono coniate due nuove espressioni per designarla: l’economia dell’attenzione e capitalismo cognitivo.

Quantità contro qualità: i modelli per la visibilità sul web

Sono due le soluzioni che le aziende hanno trovato per cercare di competere efficacemente per l’attenzione degli utenti: noi li definiamo modello quantitativo e modello qualitativo dei contenuti, che spieghiamo brevemente di seguito.

Il modello quantitativo dei contenuti

La prima soluzione, quella più praticata in questi ultimi anni dalla maggioranza delle aziende ( e consigliata dai consulenti), è il modello quantitativo. Più articoli, pubblicati con frequenza elevata, senza tener conto della qualità di quello che si pubblica.

L’obiettivo è dare in pasto a Google roba fresca che aiuti la SEO e ai lettori un motivo per ritornare sulla pagina. Il criterio di valutazione del successo sono il numero di visitatori in entrata, le migliaia di fan su Facebook, i follower su Twitter, le pagine viste le impression pubblicitarie e così via.

Questo modello è quello prevalente per i prodotti editoriali: “Monetizing eyeball“, dicono gli americani: monetizzare gli sguardi dei lettori. Se crescono le visite, in qualsiasi modo esse siano procurate, aumentano le impression pubblicitarie, i numeri da vendere agli inserzionisti e la probabilità di click sugli annunci.

Clickbaiting

Rientra pienamente in questo discorso quantitativo la tecnica del clickbait (esca per click), utilizzata da prodotti editoriali di scarsa qualità che si è poi estesa anche alle edizioni web di giornali di grande tradizione. Con questa tecnica si scrivono titoli che incuriosiscono il lettore, di solito su argomenti scandalistici, morbosi, di gossip, per spingerlo a cliccare sul link e generare visite al sito. Ne vediamo un esempio qui:

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Questo modo di intendere i titoli è, insieme, l’apoteosi e il punto più basso del modello quantitativo: l’apoteosi, perché tutto è organizzato per giocare sulla curiosità delle persone, spingerle dentro al sito e massimizzare le impression pubblicitarie.

Il punto più basso,  perché una testata giornalistica professionale usa i titoli per dare già un’informazione completa e lascia al lettore la volontà o meno di approfondire gli aspetti meno rilevanti. Di solito il clickbait si associa a un tentativo spasmodico di trovare qualcosa che diventi virale, argomento di cui preferiamo non parlare in questo articolo.

I limiti del modello quantitativo

Qual è il limite di questo modello quantitativo per le aziende? Puntare esclusivamente sulla quantità, pubblicando articoli semplicemente perché così si migliora il posizionamento, non aiuta le vendite. Quale relazione crea un’azienda con il suo pubblico quando pubblica testi scritti velocemente e a basso costo, con informazioni copiate da altre parti, con errori, frasi contorte, difficili da leggere?

Perché un lettore dovrebbe farsi una buona opinione di quest’azienda attraverso questa robaccia? Come questa pessima opinione si trasferisce sui prodotti e servizi?

Quello che vogliamo dire è che alle aziende non dovrebbero interessare 1000 utenti quotidiani pescati a caso in giro per il web, ma quei due, tre che poi comprano. Tre visite al giorno, quindi, possono essere sufficienti. Ma devono essere quelle giuste.

Il modello qualitativo dei contenuti

Dovrebbe ormai essere evidente alle aziende e a tutti i professionisti del web che questo modello non basta più per valutare il reale successo di un sito web. La quantità di pagine viste, criterio dominante dalla nascita del web, dovrebbe lasciare spazio a un metodo più evoluto, di cui indichiamo di seguito le caratteristiche principali.

Il tempo di permanenza

L’utente del web è frettoloso e se non trova subito quello che cerca scappa via. Il tempo di permanenza sul vostro sito, quindi, è il primo indicatore della qualità dei testi. Significa che è coinvolto nella lettura, che le cose che sta leggendo sono interessanti e/o presentate in modo leggibile. Come le persone interagiscono con la pagina, cosa leggono, per quanto tempo, può essere analizzato con specifici software, tra i quali c’è anche Analytics di Google.

Le pagine viste per singolo utente

Questo è un criterio quantitativo da usare con intelligenza e spirito critico. Un utente coinvolto nella lettura tende ad approfondire passando da una pagina all’altra. Ovviamente non è un criterio assoluto, perché una persona potrebbe guardare una sola pagina ma trovare tutte le informazioni che servono o guardarne dieci e poi abbandonare perché deluso. Bisogna analizzare la fonte di provenienza della visita e capire se è stata soddisfatta la richiesta di informazioni.

I visitatori nuovi e di ritorno

Le aziende sono ossessionate dall’aumento del traffico in entrata, senza accorgersi che i migliori potenziali clienti sono quelli che hanno già guardato la tua vetrina e stanno decidendo di comprare. L’analisi dei visitatori nuovi e di ritorno ci dice proprio questo: se abbiamo sempre visitatori nuovi, è presumibile che l’esperienza che stiamo offrendo è pessima.

C’è qualcosa che non va nei testi, nell’organizzazione dei contenuti e così via, che impedisce alle persone di tornare. I visitatori che tornano, invece, indicano che c’è qualcosa di buono, che deve essere tirato fuori e ulteriormente valorizzato.

Le conversioni

L’obiettivo di un sito web aziendale è (almeno dovrebbe sempre essere) far compiere all’utente un’azione. Se nonostante un buon numero di visite non arrivano richieste di informazioni, nessuno chiede un preventivo o si iscrive alla newsletter, il sito non sta svolgendo bene il suo compito.

Potrebbe essere, prima di tutto, un problema di credibilità di cui abbiamo parlato nell’articolo su Come costruire la credibilità del proprio sito web. Se un utente si iscrive spontanemente alla newsletter, ai feed, alla pagina Facebook aziendale, è il segno che è interessato ai contenuti attuali e vuole essere informato in tempo quando ne vengono pubblicati di nuovi.

I cari, vecchi, link in entrata

Il web è social per definizione, ben prima che nascesse Facebook. Quindi se le persone linkano il sito web o una sua pagina specifica in un forum, nel proprio blog personale, sulle pagine sociali, questo è un segno di qualità. Significa che il valore percepito è buono e si sente l’esigenza di condividerlo con altri.

Come costruire un web di qualità

Prima di pubblicare qualsiasi cosa sul vostro sito aziendale, dovreste farvi questa domanda: questa cosa è davvero interessante per il mio utente o lo è solo per me? C’è già in giro qualcosa di simile? Se già c’è, devo lasciar stare o posso migliorarla e renderla più  interessante, chiara, scritta in modo più efficace e fruibile?

Se non ci sono questi presupposti, lasciate stare. Gli utenti del web evolvono rapidamente: stanno imparando a usare filtri per decidere cosa è o cosa non è interessante. Hanno una loro memoria personale che gli ricorda, prima di cliccare, se la prima volta che vi hanno prestato attenzione sono stati delusi o soddisfatti e se vale la pena darvene altra.

Quanto ce lo fate 1 chilo di parole?

Un’azienda che voglia usare il web come strumento per trovare e fidelizzare clienti, ha bisogno di contenuti di qualità, scritti partendo da un progetto di marketing serio, con alla base una riflessione approfondita. E quando questa chiarezza arriva, serve affidarsi a un copywriter esperto, serio, che scriva testi di qualità che abbiano valore non solo per Google ma soprattutto per le persone che leggono.

Purtroppo questa ossessione della quantità ha invaso anche i responsabili dei reparti comunicazione delle aziende, gli stessi che ogni giorno ci chiedono preventivi per centinaia di articoli da 500 parole senza neanche spiegare obiettivi, destinatari, settore aziendale e così via. Lo stesso discorso si può fare per le agenzie pubblicitarie, le web agency e i tutti i professionisti che lavorano con il web.

Quand’è che diventerà patrimonio di tutti questa domanda che noi poniamo ora: come si può immaginare un web di qualità senza testi di qualità?

L’uomo nudo con i calzini in bocca

La sfida più immediata è cercare di capire come attirare l’attenzione dell’utente senza ingannarlo, cosa che abbiamo cercato di fare con il titoletto che avete appena letto.

Leo Burnett, che di comunicazione pubblicitaria se ne intendeva, scriveva questo: “Per attirare l’attenzione di un lettore posso anche farmi fotografare nudo con un calzino in bocca, ma solo se devo vendere calzini”.

C’è il rischio che si continui a percorrere la strada della quantità, quindi della conseguente scarsa attenzione, che si porta dietro il sensazionalismo dei titoli, finte promesse, immagini scioccanti, finestre pop-up che non ti fanno proseguire nella navigazione se non clicchi “mi piace” sulla pagina fan.

Ognuno deve fare la propria parte per evitare che una cosa bella e utile come il web diventi un posto pieno di uomini nudi con i calzini in bocca, che però non vendono calzini.